Africa, così chiede know how italiano per uscire dal colonialismo francese. La Charte du Maroc e le Code de l’Algerie

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Il Continente africano è assetato di conoscenze europee e know how italiano per crescere. Uscendo dalla dinamica di sfruttamento della politica francese, che da sempre usa l’Africa come un modo per generare un prodotto esterno lordo, (la Francia stampa ancora il franco solo per i paesi africani) e creando nuove partnership con l’Italia, paese considerato “ponte” tra il continente africano e quello Europeo.

Ne è la dimostrazione la ‘Carta di investimenti”che da tempo ha prodotto per esempio il Marocco, il cui obiettivo è quello di – tramite formule agevolative e di sostegno economico – aprire le porte del Paese a investitori stranieri con una unica condizione: creare conoscenza e impresa in loco. Obiettivo: importare know how straniero per formare i lavoratori e far crescere il territorio.

“Il nostro auspicio – si legge – è che il nuovo Fondo nazionale per gli investimenti dia un impulso tangibile all’attrattiva del Marocco per gli investimenti privati per gli investimenti privati, sia nazionali che gli investimenti privati esteri”.

CHARTE D’INVESTISSEMENT DU MAROC

Caso di scuola l’area geografica di Beni Mellal – fondata nel 1688 da Mulay Isma’il e conosciuta per l’importante diga costruita successivamente – dove i lavoratori agricoli che hanno acquisito le conoscenze italiane, sono diventati imprenditori e hanno fatto crescere il territorio creando ricchezza, sviluppo e autonomia. Tanto che oggi – grazie al know how agricolo importato dall’Italia – quel paese è diventato serbatoio di ricchezza per il Continente africano. Dando vita anche alla costruzione di un aeroporto vicino.

Stessa cosa per l’Algeria, dotata di un Codice degli Investimenti la cui normativa si applica agli investimenti di capitali a beneficio dei residenti e dei non residenti.Gli organismi governativi preposti agli investimenti sono due: il Consiglio Nazionale dell’Investimento (CNI) e l’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo (ANDI). Il primo definisce l’orientamento del Governo in materia e ha la possibilità di autorizzare gli investimenti ritenuti più utili al Paese; il secondo ha lo scopo di assicurarne la promozione e lo sviluppo, di informare e assistere gli investitori,facilitare le costituzioni delle società e l’iter dei progetti d’investimento,concedere eventuali incentivi, assicurare il rispetto degli impegni sottoscritti dagli investitori per il periodo di esonero, gestire il Fondo per il Sostegno degli Investimenti per assicurare l’erogazione del contributo statale.

Dall’entrata in vigore della nuova legge sugli investimenti il ​​1° novembre 2022 in Algeria, sono stati molti i progetti stranieri, come aveva comunicato tempo fa Omar Rekach, amministratore delegato dell’Agenzia algerina per la promozione degli investimenti (Aapi).

Tra le priorità – come si legge all’articolo 2 del Codice – figurano le esigenze di:

sviluppare settori imprenditoriali prioritari ad alto valore aggiunto;
garantire uno sviluppo regionale sostenibile ed equilibrato;
sviluppare le risorse naturali e le materie prime locali;
promuovere il trasferimento tecnologico e sviluppare l’innovazione e l’economia della conoscenza;
generalizzare l’uso delle nuove tecnologie;
incentivare la creazione di posti di lavoro permanenti e promuovere le competenze delle risorse umane;
rafforzare e migliorare la competitività dell’economia nazionale e la sua capacità di esportazione.

ALGERIAN INVESTMENT CODE (French)

Ma non solo sviluppo. Per l’Italia investire in Africa si traduce anche – come precisato più volte ad AGEEI da interlocutori diplomatici del posto – svincolarsi da dinamiche colonialiste del passato e guadagnare una propria autonomia economica.

Il riferimento è alla Francia che in Africa ha un vero e proprio Prodotto Esterno Lordo che esce dai radar della Commissione europea.Il franco CFA, che un tempo era l’acronimo del franco delle colonie francesi d’Africa cambiata poi nel 1958 – senza metter mano all’acronimo – in Franco della comunità francese d’Africa, è attualmente la valuta utilizzata da 14 paesi africani. E nella fattispecie sono: Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale (dal 1985), Rep. Centrafricana e la Rep. del Congo per quanto riguarda la cosiddetta area CEMAC e il Benin, il Burkina Faso, la Costa d’Avorio, la Guinea-Bissau (dal 2 maggio 1997), il Mali (fino al 1962 e poi dal 1984), il Niger, il Senegal e Togo per quanto concerne l’area UEMOA. Il franco Cfa, che ha mantenuto la parità rispetto al franco francese ed è comunque garantito dalla Banca di Francia e non dalla Banca centrale europea, oggi indica:

il franco della Comunità Finanziaria dell’Africa (XOF) nel caso dell’UEMOA,

il franco della Cooperazione Finanziaria dell’Africa Centrale (XAF) per il CEMAC.

Un vero e proprio Prodotto esterno lordo, Pel, per la Francia rispetto agli altri Paesi europei che vivono di Pil in base al quale contribuiscono in adeguata misura all’andamento europeo dell’Unione.Il Consiglio dell’Unione europea, con la decisione n. 940/2014/UE, ha accettato la richiesta della Francia di mantenere, oltre la data del primo gennaio 2015, le esenzioni parziali o totali dai “dazi di mare” per alcuni prodotti fabbricati nelle proprie regioni ultra periferiche secondo quanto indicato dall’articolo 349 del Trattato. Le disposizioni del Trattato che si applicano alle regioni ultra periferiche dell’Unione, non consentono in linea generale alcuna differenziazione di imposizione tra i prodotti locali e quelli provenienti dalle aree metropolitane degli Stati membri. Il richiamato articolo 349, tuttavia, consente l’adozione di misure specifiche a favore di tali regioni a causa dell’esistenza di svantaggi permanenti che incidono sulla situazione economica e sociale delle aree periferiche interessate. In tale ottica, con una precedente decisione del Consiglio 2004/162/CE la Francia aveva già ottenuto una misura specifica, con scadenza al 31 dicembre 2014, allo scopo di rafforzare l’industria locale e la competitività, consistente nella previsione di esenzioni totali o parziali dall’imposta dazi di mare su taluni prodotti. In una previsione di semplificazione degli obblighi delle piccole imprese, la misura specifica di cui al regolamento, riguarda tutti gli operatori con un fatturato annuo pari o superiore ai 300.000 euro. Per i prodotti alimentari non sono previsti aliquote d’imposizione differenziata in considerazione degli aiuti di cui gli stessi beneficiano ai sensi del regolamento UE n. 228/2013 del Parlamento e del Consiglio europeo.

Ma i Paesi africani chiedono da tempo di essere autonomi e svincolati e il 29 giugno 2019, i leader della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS) hanno adottato formalmente il nome di “Eco” per il loro progetto di moneta unica che doveva partire dal 2020.Ecoè il nome proposto per la moneta comune che la Zona monetaria dell’Africa occidentale (West African Monetary Zone) ha inizialmente pianificato di introdurre nella struttura dell’ECOWAS. Dieci giorni dopo, l’11 luglio 2019, il presidente francese Emmanuel Macron aveva affermato che il delicato tema del futuro del franco CFA potrebbe essere discusso “in modo pacifico” e “senza tabù”, mentre i paesi dell’Africa occidentale hanno confermato la loro intenzione di avere una moneta comune. Poi, con un colpo di geopolitica monetaria il 20 maggio il governo francese aveva approvato – per mettere a tacere le crescenti critiche che piovono dall’Africa e dall’Europa (soprattutto da Germania e Italia) – un disegno di legge deputato a formalizzare la fine dell’ultima moneta coloniale ancora in vigore nel mondo: il franco cfa che circola nei paesi dell’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (Uemoa). Ma ad oggi non c’è stato un reale cambiamento di rotta negli squilibrati rapporti economico-monetari che continuano a sussistere tra la Francia e alcuni paesi africani dove i cugini d’Oltralpe fanno ancora la parte di padre-padrone.

E in ogni caso l’Eco, nel caso in cui dovesse sostituire il Franco Cfa, –avevano fatto sapere a PMINEWS dal Centro Studi Internazionali-CESI– continuerà ad essere stampato, trasportato e assicurato dalla Banca di Francia.C’è inoltre in gioco anche un progetto di creare una moneta comune africana con l’obiettivo di replicare in maniera similare quanto fatto in Europa al fine di eliminare le barriere tra i 46 paesi africani firmatari e facenti parte dell’African Continental Free Trade Area. Ma per ora a valere è ancora il franco Cfa stampato a Parigi.

Diverso il ruolo dell’Italia previsto dal Piano Matteiche prevede la collaborazione dell’Italia con i Paesi africani: dalla cooperazione allo sviluppo alla salute, dal partenariato energetico al contrasto all’immigrazione illegale.Come elencato nel dossier presentato alla Camera i settori di collaborazione tra Italia e Paesi africani, nella cornice del Piano Mattei, sono i seguenti:-cooperazione allo sviluppo;-promozione delle esportazioni e degli investimenti;-istruzione;-formazione superiore e formazione professionale;-ricerca e innovazione;-salute;-agricoltura e sicurezza alimentare;-approvvigionamento e sfruttamento sostenibile delle risorse naturali, incluse quelle idriche ed energetiche;-tutela dell’ambiente e adattamento ai cambiamenti climatici;

-ammodernamento e potenziamento delle infrastrutture, anche digitali;

-valorizzazione e sviluppo del partenariato energetico, anche nell’ambito delle fonti rinnovabili;

-sostegno all’imprenditoria, in particolare a quella giovanile e femminile;

-promozione dell’occupazione;

-turismo;

-cultura;

-prevenzione e contrasto dell’immigrazione irregolare e gestione dei flussi migratori legali.

Qui il Dossier Piano Mattei in pdf:

Dossier Piano Mattei

Eppure il successo del Piano Mattei -e guardando più in là dell’Europa tutta- non può prescindere da un ruolo più attivo dell’intera Unione Europea sullo scacchiere africano, preda oggi -tra gli altri- degli interessi cinesi e russi.

Nel 2022 il gigante asiatico si è confermato il primo partner commerciale del continente con 282 miliardi di dollari di interscambio, in aumento dell’undici per cento rispetto al 2021. Continua inoltre ad essere leader nell’estrazione di cobalto in Congo, che da sola assicura il 50% delle riserve globali. Ed è proprio il cobalto a rappresentare uno degli elementi chiave della transzione energetica, elemento imprescindibile per lo sviluppo delle auto elettriche.

A portare in Africa il know how italiano creando formazione e sviluppo è BF International porta il know how italiano in Africa per creare formazione in Paesi in via sviluppo.

“Insieme BF opera in Africa come in altri continenti nell’esecuzione del suo piano di internazionalizzazione con tutta la filiera dei suoi partner e con tutto il know how che può mettere a disposizione delle comunità locali. Così come lavora in Italia lavora anche nei Paesi dove è chiamata a operare”, spiega Federico Vecchioni. “Tutto lo sforzo va a beneficio delle popolazioni del posto: creando lavoro, portando conoscenze e tecnologie, investimenti e lasciando sul posto i prodotti e il valore generati e il know how per continuare a generarli”.
“Bf valorizza e. gestisce la terra che le viene assegnata, non la compra. Nè esporta nulla verso mercati terzi, ma, al contrario, destina tutto ai mercati locali.
Una logica inclusiva e e di comunità capace di realizzare percorsi di sviluppo delle risorse umane con una politica di formazione rivolta alla valorizzazione del tessuto di piccoli e medi agricoltori riscattati dalla miseria alla quale sono spesso condannati in certi contesti. Ogni affermazione contraria è figlia di ignoranza e cinica disinformazione. Offende il lavoro di tanti italiani, l’impegno dei nostri imprenditori, l’onore del nostro Paese e l’amicizia dei popoli che ci accolgono”, conclude.

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